La sala è stata ricavata durante i restauri degli anni ’30 del ’900 unendo i due piani originari che appartenevano al prolungamento cinquecentesco della Casa del Capitano. L’intervento, che comprese l’apertura di quattro grandi finestre ad arco, fu eseguito per ricreare fedelmente la sfarzosa Sala Veneta di Giuseppe Caprin, i cui arredi erano stati acquistati dal Comune nel 1933.
Giuseppe Caprin (Trieste 1843-1904), illustre giornalista, storico ed editore, fu una delle personalità più rilevanti nella cultura triestina del secondo Ottocento.
Patriota irredentista, pubblicò contro il dominio austriaco a Trieste giornali umoristici come «Il Pulcinella» e «L’Arlecchino», e partecipò da garibaldino alla battaglia di Bezzecca (1866). Al fine di educare il popolo italiano della Venezia Giulia e del Friuli alla coscienza nazionale, pubblicò tra 1867 e 1884 il settimanale «Libertà e Lavoro». Diresse inoltre fino al 1886 il giornale irredentista «L’Indipendente», da lui rilevato nel 1878.
Nel 1868 fondò, con Bartolomeo Appolonio, lo Stabilimento Artistico Tipografico, che divenne uno dei maggiori della regione Giulia. Nel 1878, tre anni dopo esserne divenuto unico proprietario, ne spostò la sede presso la sua nuova dimora, nel rione di San Giacomo. Fra le molte pubblicazioni, dalle eleganti vesti grafiche, vi sono i suoi importanti studi di storia patria, quali I nostri nonni (1888); Marine Istriane (1889); Tempi andati (1891); Il Trecento a Trieste (1897). Alla sua morte lasciò incompiuta l’ultima opera, Istria Nobilissima.
La Sala Veneta era l’ambiente principale della dimora di Caprin, un edificio costruito nel 1878 in forme neorinascimentali, in linea con la moda eclettica del secondo Ottocento volta al recupero degli stili del passato. Il palazzo, sito nel rione di San Giacomo a Trieste (via Erta, oggi via Caprin), fu alla fine dell’800 un salotto di italianità e cultura.
Prediligendo l’arte del Rinascimento veneto, non solo per il suo valore estetico, ma anche per la forte matrice italiana, Caprin arredò la propria casa con i molti oggetti antichi che aveva raccolto in Friuli, Istria e Veneto, nonché presso gli antiquari del Ghetto di Trieste.
Quanto è oggi esposto in questa sala proviene da quella dimora, dai mobili ai rivestimenti lignei alle opere d’arte, fra cui spicca, nel soffitto, la grande tela con Il Trionfo di Venezia. Il pavimento a terrazzo veneziano, su imitazione di quello della Sala Veneta, fu realizzato nel 1946, alla riapertura del Castello dopo la guerra.
La sala espone buona parte degli arredi che un tempo si trovavano nella Sala Veneta di casa Caprin: la grande tela al centro del soffitto; la porta centrale in legno scolpito con le colonne tortili ispirate al Baldacchino di San Pietro del Bernini; il grande tavolo, probabilmente seicentesco e restaurato “in stile” nell’800; la scultura lignea con San Giorgio e il drago. Lungo i muri sono poste le eleganti cassapanche nuziali in legno intagliato con dorature (XVI-XVII secolo), i seggioloni, il trono in stile neogotico e i due busti di Dogi veneziani.
Rispetto alla sala originale mancano: il caminetto, rimontato parzialmente nella stanza quattrocentesca al piano superiore; le candelabre e le cariatidi della boiserie, ora collocate a fianco delle porte più piccole di questa sala e del caminetto; gli schienali delle cassapanche, non più esistenti; gli arazzi e le bandiere, non esposti per ragioni conservative.
Dei quattro dipinti che ornano la sala, solo due provengono da casa Caprin: il Ritratto di Andrea Tarsia e La Ragione accompagnata dalla Prudenza e dalla Fama schiaccia il Vizio e l’Ignoranza (che ornava il soffitto della biblioteca).
Gli altri due quadri provengono dalla collezione del triestino Antonio Caccia e sono stati esposti nella Sala Caprin sin dalla sua apertura nel 1936. Le loro cornici appaiono realizzate con elementi lignei intagliati a rosette provenienti dalla boiserie della Sala Veneta allo scopo di accordarsi al suo arredamento.
Al centro del soffitto è collocata l’opera più importante della collezione Caprin, un grande dipinto a olio su tela della fine del XVII sec., raffigurante Il Trionfo di Venezia. Attribuito ad Andrea Celesti (Venezia 1637 – Toscolano Maderno, Brescia 1712 ca) e alla sua bottega, il telero proviene probabilmente dal veneziano Palazzo Erizzo alla Maddalena e fu collocato da Caprin nel soffitto della Sala Veneta del suo palazzo triestino.
Al centro compare Venezia, nelle vesti di una dogaressa, trasportata dai venti Eolo e Zefiro, in forma di due fanciulli, e da Nettuno, dio del mare. Ai suoi piedi, ignuda, è Cerere, dea della terra. In cielo sovrasta Venezia una colomba, simbolo dello Spirito Santo, affiancata da un putto con un ramo d’ulivo e da un angelo che reca un libro col motto di San Marco (Pax Tibi Marce Evangelista Meus). Da terra la omaggiano i quattro continenti: Europa sul toro in cui si trasformò Giove per rapirla; l’Africa e l’Asia, cui alludono due uomini col turbante, accompagnati l’uno da un dromedario, l’altro da un elefante; l’America, impersonata dall’uomo con la pelle rosso-bruna.